una produzione
e Teatridithalia
MAI
MORTI
testo
e regia
Renato Sarti
con
Bebo Storti
Mai
Morti è uno spettacolo di “successo”, ma non nel senso più comune
del termine. È uno spettacolo che fa notizia perché fa discutere, divide
gli spettatori, fa arrabbiare, emozionare e commuovere. In sintesi: non può
lasciare indifferenti e spesso scatena reazioni “forti” (che purtroppo
sono arrivate addirittura alle minacce contro attore e regista).
Il
testo di Renato Sarti, presentato nella sua forma breve alla Maratona di
Milano nel luglio 2000, è stato prodotto nella versione completa da
Teatridithalia e ha debuttato
nel febbraio 2002 al Teatro dell'Elfo
di Milano.
È
affidato a Bebo Storti il difficile compito di dare voce a questo
nostalgico delle “belle imprese” del ventennio fascista, oggi
impegnato in prima persona a difesa dell’”ordine pubblico”, contro
viados, extracomunitari, zingari e drogati.
Mai
Morti era il nome di uno dei più terribili battaglioni della Decima Mas.
A questa formazione, che operò a fianco dei nazisti nella repressione
antipartigiana, e al magma inquietante del pianeta fascista il personaggio
guarda con delirante nostalgia. È una figura di fantasia, ma tragicamente
realistica: Renato Sarti, drammaturgo autore da sempre impegnato sui temi
della memoria storica, ha voluto ripercorrere, attraverso i racconti di un
uomo “mai pentito”, episodi della nostra storia ampiamente
documentati, per far riflettere, in modo diretto e crudo, su quanto, in
Italia, il razzismo, il nazionalismo e la xenofobia siano ancora difficili
da estirpare.
Durante
una notte milanese dei nostri giorni il protagonista si sveglia e si
abbandona ai ricordi degli episodi a lui più “sacri, lontani, cari”.
Evoca il bell’agire della Ettore Muti, banda fascista che Mussolini elevò
a legione autonoma per l’opera di repressione, durante gli scioperi del
marzo del 1944 a Milano, che rimarrà tragicamente nella memoria della
città per la ferocia delle torture praticate a centinaia di antifascisti all’interno del Piccolo Teatro di
via Rovello. Rivive la strage della comunità copta di Debrà Libanos,
situata a novanta chilometri da Addis Abeba, dove nel 1937 il viceré
Rodolfo Graziani e il generale Maletti Pietro Senior si resero
protagonisti dell’eccidio di 2000 fra fedeli e diaconi. Accenna
all’uso indiscriminato e massiccio dei gas da parte dell’esercito
italiano in Africa contro le popolazioni civili. E ancora rievoca alcune
delle più orribili imprese portate a termine dalla Decima Mas (che oggi
si cerca di far passare per una pacifica combriccola di patrioti) nel
Canavese e in Friuli nell’estate-autunno del 1944.
Anche
il passato più prossimo, e il nostro presente, animano i suoi sogni a
occhi aperti: siamo nella Milano incandescente del 1969 quando “ai
funerali di piazza Fontana si doveva fare il gran botto finale. Bastava un
ordigno, uno solo e nemmeno ad alto potenziale. La ressa, qualche nostro
provocatore avrebbe scatenato un cataclisma, controllabile da un regime
dai valori e, soprattutto, dai muscoli forti tipo quello greco dei
colonnelli. (…) Allora si che si riusciva a scaraventare anarchici
tranquillamente dalla finestra, raccontare frottole a destra e a manca e
farla comunque sempre franca”.
Un
monologo che cerca di rammentare, a chi se lo fosse dimenticato o non
l’avesse mai appreso, che la parola antifascismo ha ancora un
fondamentale e profondo motivo di esistere.
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