5. Che cosa succederebbe al sistema
politico italiano se venisse approvato il referendum?
L’approvazione del referendum produrrebbe un radicale rinnovamento
dell’attuale sistema elettorale – e, attraverso quello, del sistema
politico – in grado di assicurare all’intero contesto politico più
trasparenza, agli schieramenti più unità, ai cittadini più
opportunità di spendersi per far valere le proprie capacità e meriti.
L’eliminazione del frazionismo e dello sbriciolamento della
rappresentanza, garantirebbero una ristrutturazione profonda del sistema
dei partiti. I quali sono sempre più avvitati su se stessi e stentano
ad operare qualsiasi ricambio.
Selezionano le proprie classi dirigenti in base a criteri poco
trasparenti che spesso non hanno nulla a che vedere con il merito, le
capacità o la passione disinteressata.
I partiti, inoltre non riescono a realizzare l’unità negli
schieramenti, con una strisciante, continua guerra di posizione ed uno
scontro di paralizzanti veti incrociati, all’interno delle
coalizioni.I partiti sono divisi e l’attuale legge elettorale ha ancor
più esasperato le tendenze alla divisione e alla frammentazione.
Tutto ciò è un freno per il cambiamento e impedisce di realizzare
politiche ambiziose che migliorino effettivamente la nostra qualità di
vita di cittadini comuni.
L’auspicio è quello di partiti aperti, sensibili ai flussi di
novità che provengono dalla società e più capaci di resistere alle
pressioni degli interessi consolidati.
Partiti responsabili, capaci di realizzare obiettivi, di innovare, di
inventare il cambiamento.
Partiti dinamici, che non cedano alla tentazione di ripiegarsi su se
stessi, di diventare oligarchie auto-concluse sorde al futuro.
Per ciò crediamo che ci sia un modo migliore di scegliere i
parlamentari, evitando cosi’ che centinaia di essi siano nominati per
grazia ricevuta da chi già è stato eletto.
Per ciò crediamo che gli attuali partiti debbano rimettersi in gioco
e reinvestire le proprie tradizioni in qualcosa di più grande e di più
coeso: soggetti unitari che si candidino a guidare il Paese, impiegando
il proprio tempo nella realizzazione degli obiettivi promessi.
6. Qualcuno obietta che il referendum sarebbe inutile perché i
partiti si alleerebbero in un grande listone per poi dividersi dopo le
elezioni.
L’obiezione muove dall’assunto che i sistemi elettorali siano del
tutto ininfluenti sui comportamenti dei partiti e degli elettori. I
partiti italiani, in particolare, troverebbero il modo di "aggirare
l’ostacolo" unendosi fittiziamente per poi ridividersi dopo. Come
dire: fatta la legge trovato l’inganno.
Tuttavia, gli studiosi sono concordi nel ritenere che i sistemi
elettorali non siano assolutamente irrilevanti sul modo in cui si
strutturano il sistema dei partiti ed i comportamenti elettorali. Si
può discutere sul tasso di incidenza delle regole, ma nessuno ha mai
messo in dubbio la connessione tra regole e politica.
Penso che ormai il modello delle democrazie avanzate in cui due
principali soggetti si contendono la guida politica del paese - fermo
restando uno spazio per partiti minori non coalizzabili - sia ormai
interiorizzato anche in Italia
Trovare sulla scheda 15 simboli di partito per una sola coalizione
(della quale manca, peraltro simbolo, nome, e leader) è cosa ben
diversa che trovare un simbolo unico, un nome solo, l’indicazione di
un solo candidato a Primo Ministro. Certo, i partiti potranno sempre
"sganciarsi" dopo. Soprattutto fin quando non introdurremo in
Italia regole come quelle tedesche che interpretano il principio del
libero mandato parlamentare in modo meno trasformistico. Ma quali
saranno i costi politici di rompere un’aggregazione suggellata da
elettori che hanno votato il "tutto" e non le singole parti?
Non solo, ma l’assenza dei simboli dei singoli partiti impedirebbe
loro di potere censire il proprio consenso. Il che non è di poco conto,
perché li priva del potere di ricatto per così dire
"certificato".
Il referendum, in definitiva, massimizza i costi politici delle
divisioni e riduce la litigiosità,
Gli elettori, infine, hanno già dimostrato in diverse occasioni che
vogliono unità, sintesi, visione univoca. E che sono disposti a
premiare chi riesce a trasmettere questi valori.
7. Il referendum non è contro i piccoli partiti e contro il
pluralismo?
Questo referendum non è contro nessuno. E, soprattutto, non è
contro il pluralismo. Semmai è per un’Italia moderna e dinamica. L’obiettivo
di indurre diversi soggetti politici a fondersi in grandi partiti non
impedisce alle istanze minoritarie di avere un loro ruolo all’interno
degli stessi. In tutte le grandi democrazie, anche laddove a contendersi
la possibilità di governare sono soltanto due o tre partiti, sono
presenti anime e correnti diverse all’interno di essi. Il fatto poi
che si scoraggi il multipartitismo estremo non è da biasimare. È sin
dall’epoca dell’Assemblea costituente, infatti, che si deprecano l’instabilità
e la frammentazione dei governi di coalizione.
Il sistema elettorale che risulterebbe dall’approvazione dei
quesiti referendari è una sfida per tutti i partiti, grandi e piccoli.
Questi ultimi, in particolare, si troverebbero a dover scegliere se
difendere le proprie istanze all’interno di partiti più ampi,
arricchendo, in un processo di sintesi, l’identità degli stessi,
ovvero concorrere autonomamente nelle elezioni, cosa che rimarrebbe
comunque possibile, previo superamento delle soglie di sbarramento (del
4%e dell’8%). Sarebbe, in altre parole, comunque garantito a chi
decidesse di competere al di fuori dei partiti unitari la possibilità
di un ampio "diritto di tribuna".
8. Non si tratta di un’iniziativa astratta d’ingegneria
costituzionale?
Lo strumento referendario, per sua natura, non può introdurre nuove
leggi, ma soltanto abrogare singole norme di leggi già esistenti. E se
si riesce a far ciò in modo tale che la c.d. normativa di risulta sia
migliore della precedente, può forse parlarsi di "ingegneria
costituzionale", ma la definizione non sarebbe affatto offensiva.
Basti, in tal senso citare, l’incipit di un saggio di Sartori
(Ingegneria costituzionale comparata): "Bentam disse una volta che
i grandi ‘motori’ (engines) della realtà sono la punizione e il
premio. E sicuramente ‘ingegneria’ (engineering) deriva da engine.
Mettendo assieme metafora e etimologia, sono arrivato a ‘ingegneria
costituzionale’ per rendere l’idea, primo che le costituzioni sono
qualcosa di simile a macchine o meccanismi che devono ‘funzionare’ e
che devono dare comunque risultati; e, secondo, che è improbabile che
le costituzioni funzionino a dovere (come dovrebbero), a meno che non
impieghino i ‘motori’ di Bentham, e cioè punizioni e premi."
Se con l’espressione "ingegneria costituzionale", cioè,
si allude alla circostanza che, mediante, la c.d. "tecnica del
ritaglio" si interviene sulla legge elettorale ricavando,
legittimamente, un sistema migliore di quello vigente, non mi dispiace
affatto essere considerato un ingegnere costituzionale.
9. È giusto esautorare il Parlamento in una questione così
delicata?
Il Parlamento non viene affatto esautorato. Il referendum è
strumento nella disponibilità del corpo elettorale per esercitare un’azione
abrogativa sulle leggi, ma ciò non toglie che l’organo legislativo
resti pur sempre e pienamente titolare del potere di disciplinare le
materie che ne formano oggetto, nel caso di specie il sistema
elettorale. Piuttosto, tale strumento di democrazia diretta si dimostra
idoneo a stimolare il dibattito politico sull’argomento, con la
possibile conseguenza, addirittura, di propiziare un eventuale
intervento legislativo, e non già di tagliare fuori il Parlamento.
Certo, se il Parlamento non sarà in grado di fare una buona riforma
e rimarrà paralizzato da veti incrociati, dovremo dire grazie al cielo
che c’è lo strumento del referendum.
Aggiungo che questo referendum ha la pretesa di intercettare una
spinta al cambiamento al già esistente nella società. Il processo di
aggregazione nel Partito democratico e la e la prospettiva della nascita
del Partito dei moderati sono il segno che l’attesa di unità è molto
forte nella società. Il referendum è uno strumento per dar voce a
questo desiderio.
Quindi il referendum non riguarda solo la legge elettorale?
No, il referendum esprime un’idea della politica e della società,
come società aperta e fondata sulla competizione, sulle qualità, sulla
valorizzazione dei meriti e delle opportunità. Una società in cui ogni
cittadino si possa sentire artefice del proprio destino.
Carletto Nesti