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Zimbabwe, il dramma dell’HIV/AIDS

A Epworth, insediamento periferico a 15 km a sudest di Harare, scarseggiano acqua potabile e servizi igienici. Gran parte delle 400mila persone che vivono là sono arrivate nel 2005, a seguito della campagna governativa "Operation Restore Order" che ha demolito gli insediamenti illegali di Harare e costretto migliaia di persone ad abbandonare la città.

La diffusione dell’HIV/AIDS a Epworth è estremamente elevata e quasi la metà delle persone che si sottopongono al test risultano sieropositive. Di fronte a una pandemia di HIV/AIDS di queste dimensioni, fornire assistenza medica è una vera sfida. Si può tenere sotto controllo l’HIV/AIDS con i farmaci antiretrovirali (ARV) ma nello Zimbabwe sono pochissime le cliniche che forniscono questo tipo di farmaci. Svariati milioni di persone hanno lasciato lo Zimbabwe per andare a cercare lavoro nei paesi vicini e sono tornate dalle loro famiglie solo quando erano estremamente malate. Inoltre la stigmatizzazione legata all’HIV/AIDS fa sì che molte persone siano restie ad andare in clinica.

Intervista a un operatore di MSF sulle sfide per combattere la pandemia di HIV/AIDS in Zimbabwe

Chipo Takawira, responsabile del team di collegamento con la comunità di MSF a Epworth, racconta come sia difficile convincere gli uomini ad andare in clinica.

Qual è il tuo ruolo?

Sono responsabile dei collegamenti con le organizzazioni locali di base e coordino un team di MSF composto da 6 persone (due educatori sanitari, un "consulente alla pari", un infermiere che si occupa di malnutrizione sul territorio e un operatore per le visite a domicilio). Abbiamo formato 22 operatori sanitari locali che vanno nella comunità per individuare i bambini malnutriti, verificare che i pazienti assumano la terapia ARV e che non vi siano altri familiari con la tosse, sintomo di tubercolosi, e così via. Un ruolo fondamentale viene svolto dai 17 "educatori alla pari" che sono pazienti affetti da HIV addestrati per incoraggiare la gente a fare il test, spiegare agli altri pazienti cos’è l’HIV, come assumere la terapia e anche come fronteggiare la condizione di persona sieropositiva.

Quali sono le maggiori criticità riscontrate da MSF a Epworth?

Una delle maggiori criticità sta nel raggiungere la popolazione maschile. I maschi rappresentano solo il 30% dei nostri pazienti e gli uomini che vengono nella nostra clinica di solito si trovano già in condizioni critiche. Sono pochissimi quelli che vengono alla clinica per fare il test nella fase iniziale della malattia. Io credo che uno dei problemi sia la mancanza di informazione. Gli uomini restano spesso esclusi dai programmi di informazione, mirati prevalentemente alle donne e ai bambini. Molti uomini sanno cos’è l’HIV ma non hanno sufficienti informazioni su cosa succede dopo essere risultati positivi al test o quali sono le terapie a disposizione. Per molti è anche un problema legato al proprio ego oppure hanno troppa paura per fare il test, temono di venire abbandonati o emarginati.

A volte gli uomini accompagnano le donne alla clinica e quando li vediamo che aspettano fuori parliamo con loro e li incoraggiamo a fare il test. In questi casi gli uomini sono avvantaggiati dal fatto di trovarsi già nel centro e sono quindi più propensi a fare il test. Ma il problema è che molti uomini non vengono nel nostro centro: circa l’80% delle donne vengono da sole a fare il test. Se risultano positive al test, devono affrontare un compito difficilissimo, cioè quello di tornare a casa e dirlo ai mariti. Spesso vengono accusate di andare a letto con altri, vengono sbattute fuori di casa, subiscono maltrattamenti fisici o vengono abbandonate dai mariti.

In che modo incoraggiate gli uomini a fare il test?

A volte le donne ci chiedono di mandare loro un "educatore alla pari", che possa spiegare ai loro mariti cosa significa essere sieropositivi e perché anche loro devono fare il test. Facciamo sempre in modo che possano scegliere tra un "educatore alla pari" uomo e donna perché a volte il marito è sospettoso e dice alla donna "è il tuo amante?". Ma spesso le donne dicono "Non voglio che mio marito lo sappia, mi picchierebbe o mi butterebbe fuori casa... non voglio che venga a casa un educatore alla pari". Noi spieghiamo alle donne cosa rischiano non dicendo la verità ai mariti.

Non molto tempo fa una donna incinta è venuta in clinica a fare il test per l’HIV mentre il marito è rimasto ad aspettare fuori. Un "educatore alla pari" gli si è avvicinato chiedendogli perché stesse aspettando fuori. Lui ha risposto "il test è solo per le donne, è lei che è incinta". L’educatore alla pari gli ha consigliato di fare il test. L’uomo ha risposto "Beh, non penso di essere HIV positivo... Non sembro malato!... Sono forte", le solite cose che la gente dice quando pensa di non essere sieropositiva.

La moglie ha avuto il risultato. Era sieropositiva. Lo ha detto al marito che stava ancora aspettando fuori e lui ha perso la testa "Ah bene" le ha gridato "che hai fatto? Sei andata in giro a fare la scema, eh?". L’educatore alla pari gli ha dato informazioni su HIV e AIDS e gli ha detto che doveva fare il test per verificare il proprio stato: ci sarebbero state decisioni da prendere come coppia e lui doveva sapere cosa aspettarsi. Ma lui ha detto "Guardami, ti sembro infetto? Quelli sono i suoi risultati, non i miei!". L’educatore alla pari ha cercato di calmarlo ma lui non era disposto ad ascoltarlo e la moglie aveva un’aria smarrita e sembrava avere bisogno di sostegno. Quindi hanno preso un appuntamento per una visita domiciliare.

L’educatore alla pari è dovuto andare a casa loro due volte a settimana per un intero mese per convincere l’uomo a venire in clinica a fare il test. E’ risultato positivo. Dopo i risultati, il suo atteggiamento nei confronti della moglie è cambiato, si è scusato ed è diventato più collaborativo. Questo si verifica spesso, è solo dopo essere risultato positivo al test che l’uomo cambia atteggiamento.

Quali sono i vostri obiettivi per quest’anno?

Uno degli obiettivi di MSF a Epworth per il 2008 è quello di organizzare meglio l’informazione e i servizi HIV per le persone di sesso maschile. Il team sta addestrando nuovi "educatori alla pari" maschi e lavorerà a stretto contatto con una organizzazione di uomini della comunità che fa informazione su temi come l’HIV/AIDS, rivolta alle persone di sesso maschile. Inoltre lavoreremo in collegamento con altre organizzazioni per vedere se possono effettuare servizi di counselling e di test volontari durante il fine settimana.

MSF lavora nello Zimbabwe dal 2000 e offre assistenza medica gratuita a 35mila pazienti sieropositivi, 11.000 dei quali sottoposti a terapia antiretrovirale, un quinto del numero complessivo a livello nazionale. L'assistenza viene erogata secondo modalità decentrate a Bulawayo, Tshlotshlo, Gweru, Epworth e in varie località della provincia di Manicaland. MSF offre inoltre cure contro la malnutrizione e la tubercolosi, e interviene in caso di focolai epidemici.

MSF lavora in Ciad dal 1981. 80 operatori internazionali e 1000 operatori ciadiani sono impegnati a fornire assistenza ai rifugiati dal Darfur, alla popolazione residente e agli sfollati ciadiani nel Ciad orientale.

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Medici Senza Frontiere è la più grande organizzazione medico-umanitaria al mondo, insignita nel 1999 del Premio Nobel per la Pace.
Opera in oltre 60 paesi portando assistenza alle vittime di guerre, catastrofi ed epidemie.

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